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L'AMORE E' DOLORE, CHI AMA SOFFRE
Ulisse nella terra dei Feaci
Racconto liberamente ispirato all'episodio narrato da Omero nell'Odissea, relativo ad Ulisse nell'ultima disavventura incontrata prima di tornare ad Itaca. Secondo alcuni studiosi il regno dei Feaci può essere localizzato in Calabria nella stretta di Catanzaro.
Sono passati nove anni dalla fine della guerra di Troia. Ulisse è rimasto solo perchè i suoi compagni sono tutti morti. Dopo sette anni vissuti nell'isola di Calipso, viene finalmente reso libero, messo su una piccola barca e mandato al suo destino. Ma le prove non sono finite. Si trova nel mare in tempesta, sul punto di soccombere.
"Oh Dei dell'Olimpo! Non mi abbandonate! Non vedete come sto soffrendo? Per poco non sono morto annegato in questo mare tempestoso, agitato per vendetta di Nettuno, mio acerrimo nemico. E' vero, ho accecato suo figlio Polifemo, ma quello aveva già ucciso alcuni dei miei uomini e minacciava me stesso, cosa dovevo fare? Ma voi che siete stati sempre al mio fianco, anche in avventure pericolose, cosa aspettate a venire in mio aiuto? Se mi salverò vi prometto il sacrificio di dodici vitelli, appena sarò tornato nella mia patria."
Minerva, che era stata sempre sua amica e protettrice, fu mossa a compassione e convinse Eolo, il re dei venti, a dare una spinta a quel guscio di noce dove si trovava Ulisse e accompagnarlo alla prima riva. Eolo, anche se malvolentieri, poiché in passato Ulisse era stato incauto a custodire male, assieme ai suoi compagni, l'otre dei venti che gli aveva affidato, per rispetto alla dea che glielo chiedeva con insistenza, convinse l'amico Libeccio ad agire. Quello non vedeva l'ora di intervenire in qualcosa di importante e di mettersi in mostra. Soffiava spesso in momenti inopportuni, figuriamoci adesso che glielo chiedeva il capo. Così Libeccio andò sotto le rive della terra di Italia (oggi Calabria) soffiando verso nord. Incontrò quella specie di zattera mezzo scassata su cui barcollava Ulisse aggrappato con tutte le sue forze e con una folata vigorosa la sospinse su un banco di sabbia proprio sotto la riva al centro del golfo di Taerinus (oggi Lamezia Terme).
Era una spiaggia lunga e bianca. Non c'era nessuno, o almeno così sembrava. Il naufrago stanco e sfinito, si rifugiò sotto un arbusto ed anche senza l'assistenza di Morfeo, si addormentò profondamente.
Passò così la notte. Al mattino, era appena apparso il cocchio del Sole sulle cime delle verdi colline ad oriente, quando Ulisse fu svegliato da risate argentine di ragazze, molto giovani, che giocavano a palla poco distante da lui, rincorrendosi e gridando allegramente.
Socchiuse gli occhi, fece fatica ad aprirli per la grande quantità di salsedine che aveva intorno al viso e sui capelli. Si alzò per capire dove si trovava e magari chiedere qualche informazione, quando alcune ragazze, nel tentativo di riprendere la palla caduta in un fosso vicino, si avvicinarono, lo videro e urlando per la paura si misero a correre andando a rifugiarsi verso la loro principessa: "Focu meu, quantu è bruttu, scappamu!"
Ulisse si rese conto di essere completamente nudo, cercò di coprirsi con due rami strappati alla meglio dall'arbusto vicino e poi si rivolse a loro invocandole di non avere paura:
"Sono straniero, perdonatemi, non so dove mi trovo, non andate via, aiutatemi!"
La principessa, molto giovane ma più sicura delle sue ancelle, dimostrò coraggio e rispose:
"Il mio nome è Nausicaa, figlia di Alcinoo, re dei Feaci. Chi sei e da dove vieni?"
"Il mio nome è Ulisse, figlio di Laerte, re di Itaca, e la mia storia è lunga. Se mi è consentito vorrei rendere omaggio al vostro re, ma prima aiutatemi a lavarmi della grande sporcizia che ho addosso e datemi una veste onorevole.
Nausicaa, educata e rispettosa dei doveri dell'ospitalità, fece cenno alle ragazze di porgere una tunica bianca, appena lavata e nello stesso tempo chiese loro di aiutare lo straniero a lavarsi in un ruscelletto che scorreva là vicino, ma Ulisse preferì fare tutto da solo. Poi la principessa diede indicazione sul percorso da fare per raggiungere la città e assieme alle ancelle tornò in fretta alla reggia, seguita a debita distanza da Ulisse, per non alimentare pettegolezzi.
Quando Nausicaa arrivò alla sua dimora incontrò la madre, Arete, donna autorevole e di carattere deciso, intenta a tessere una lunga tela assieme ad altre donne. Subito si avvicinò e le raccontò dell'incontro che aveva fatto in riva al mare. Arete non era molto felice dell'accaduto ma, avendo diverse figlie in età da marito o prossime a divenirlo, pensò bene di accogliere lo straniero e valutarlo per capire se poteva essere un buon partito. Arete avvisò quindi il marito della visita imminente e, incuriosita, stette ad aspettare.
Dopo un lungo cammino, aiutato dall'amica Minerva che lo avvolse in una nube per proteggerlo dagli sguardi indiscreti della gente del luogo, Ulisse arrivò in città sulla cima della collina da dove ammirava due mari, uno a oriente ed uno ad occidente. (probabilmente Tiriolo). Raggiunse il palazzo con le porte d'oro e ne dedusse che si trattava di sicuro della reggia di Alcinoo.
Chiamò un servo e chiese di parlare con la regina. Dopo un po' Arete gli fece cenno di entrare e lui si prostrò ai suoi ginocchi pregandola di dargli ospitalità ed aiutarlo a riprendere il viaggio verso la sua patria. Arete sembrò benevola e lo inviò al marito accompagnato da un servo.
Il re, un po' infastidito, chiese sottovoce a Echenèo, suo consigliere anziano: "Ma cu è 'stu povareddhu?" E quello rispose :"Dicunu che è un re, come lo è vossignoria, ed è così che dovrai trattarlo".
"Ma, u pagau u daziu?"
"Mancu li cani si cci facimu pagari u daziu, finiscia ca 'ncuna dea nci vena cuntru! Stamu attenti!"
Alcinoo concluse: "Almenu facimuci pagari a tassa de soggiornu, ca sti foresteri venanu ccà pe nu jornu e poi un sin da vannu cchiù. Trovanu troppu bbonu stara a lu paisa nostru!"
Alcinoo fece cenno poi di farlo entrare e lo salutò: "Vieni avanti amico, gli dei sono con te! Sei benvenuto nella mia casa!"
Ulisse entrò, fu fatto sedere a fianco del re, mangiò, bevve, venne rifocillato per bene e rimase ospite rispettato, messo a suo agio come le regole sacre dell'ospitalità imponevano.
Nei giorni successivi Alcinoo e gli altri notabili vedendolo piangere di nascosto mentre un cantore narrava le gesta degli Achei, capirono che quel forestiero era stato uno dei famosi protagonisti della guerra di Troia, quindi, incuriositi, lo trattennero per sapere qualcosa di più sulla sua vita. Così Ulisse inizio il lungo racconto della lunga guerra, conclusa con tante vittime illustri e con la distruzione della città, proseguì con la narrazione del lungo viaggio di ritorno verso la sua patria Itaca, che dopo ben nove anni non era ancora terminato. Il tempo trascorreva e intanto Ulisse si rinfrancava dopo tante peripezie, cedendo volentieri all'invito del padrone di casa a rinviare un po' il viaggio di ritorno, a non avere fretta, perché lo avrebbero ascoltato ancora volentieri.
Intanto Arete, che lo aveva sorvegliato per bene per capire se poteva essere un buon marito per le proprie figlie, Nausicaa, la maggiore, o qualche altra, quando sentì la sua storia ed il desiderio di tornare alla sua patria, si rassegnò ed anzi gli preparò un bel regalo da portare via come ricordo dei Feaci.
Senonchè gli dei si intromisero e fecero in modo di concludere quel soggiorno, richiamati dalla necessità di riportare l'ordine ad Itaca, dove il giovane Telemaco, figlio di Ulisse, non riusciva da solo a tener testa ai Proci, pretendenti di Penelope, sua madre e vedova bianca.
Cosicchè i Feaci, abili naviganti imbarcarono Ulisse e tutti i suoi doni su una barca ormeggiata a poca distanza sullo Jonio a Scolacium (Squillace) ed in breve tempo e con rotta diritta lo condussero ben presto sull'isola di Itaca, prima che Nettuno se ne accorgesse.
28 marzo 2025
Antica torre del castello di Cavagliano
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Il cuore con la punta in su
Racconto paranormale di un incontro forse casuale. Giorgio quella mattina era maledettamente in ritardo. Il traffico della città a volte è snervante, non si riesce a fare un passo senza che ci sia un intoppo, e capitò proprio quel giorno che lui si doveva recare in Catasto per una pratica urgente. Doveva presentarsi ad uno sportello che restava aperto solo due ore e lui ne aveva già consumato una nelle problematiche del traffico e del parcheggio. Quando, superati tutti i controlli di sicurezza, finalmente arrivò dinanzi all’impiegato si vide respingere la domanda che voleva presentare perché mancavano le marche da bollo. Accidenti! Era vero. Mancavano le marche, barriera insormontabile senza la quale nulla si muoveva.
Uscì di corsa dagli uffici e si mise alla ricerca di un tabaccaio. Ricordava di averne visto tempo fa uno nei paraggi con bar annesso, quindi a passo spedito si mise alla ricerca della rivendita. Scorse l’insegna da lontano e, sollevato, allungò il passo, pressato dal tempo che correva. Nella tabaccheria vi era una bella signora, calma e gentile, che gli diede subito le marche da bollo che desiderava, senza fargli perdere tempo. Giorgio, dimenticando per un attimo la fretta, involontariamente si soffermò a guardare con attenzione la collana della signora. Su una maglia bianca leggermente scollata pendeva un filo d’argento che terminava con un ciondolo a forma di piccolo cuore. Nulla di particolare, se non che quel cuore pendente aveva la punta rivolta verso l’alto. Il fatto lo incuriosì e Giorgio perse qualche secondo a fissare quel ciondolo. Pagò il conto, uscì di corsa per raggiungere nuovamente lo sportello del Catasto prima che chiudesse i battenti. Mentre camminava il pensiero tornò curiosamente a quel ciondolo, domandandosi il perché di quell’anomalia. Era una casualità oppure aveva un significato nascosto, oppure era un richiamo verso un qualcosa di sconosciuto?
Giorgio seguì l’istinto. Terminata la commissione, tornò verso la tabaccheria con la scusa di prendere un caffè al bar nello stesso locale. Era incuriosito e desiderava rivedere la signora, ma gli andò male. Quella donna non c’era più. Al suo posto un anziano baffuto confabulava con dei clienti attorno a dei biglietti della lotteria istantanea. Consumò con molta calma il suo caffè, sperando invano di rivedere la persona che cercava, poi uscì, deluso, avviando nella mente tanti ragionamenti ed ipotesi su quel fatto curioso. Quel cuore a punta in su lo aveva stregato ed anche nei giorni seguenti, pur non avendone necessità, quando poteva deviava il suo cammino ed entrava in quel bar con i motivi più banali, con il pensiero segreto di incontrare di nuovo la bella signora.
Finché pochi giorni dopo accadde un altro fatto strano. Giorgio tornò nel famoso bar per prendere il solito caffè. Mentre aspettava che il barman glielo preparasse, vide sullo sgabello accanto al suo il giornale locale messo a disposizione dei clienti. Lo aprì e nella cronaca cittadina, tra i necrologi, vide l’immagine della signora che lui cercava, deceduta un mese prima. Aveva un bel viso, sereno, sorridente. Rimase esterrefatto. Indicò la foto al barman chiedendo se nel locale conoscevano quella donna, ma né lui né altri che nel frattempo si avvicinarono, dissero di averla mai vista prima. Lesse e rilesse quell’annuncio sul giornale. Ora conosceva il suo nome e cognome, la data di nascita e quella della sua morte ma non capiva il senso di quello strano incontro, se c’era stato veramente, perché ora veniva pure il dubbio che si fosse trattato di allucinazione. Ma no! Le marche le aveva veramente acquistate. Aveva veramente visto quella bella figura femminile con il ciondolo particolare. Rimase sempre in sospeso l’interrogativo sul significato di quella coincidenza paranormale ed il senso segreto di quel cuore con la punta rivolta in su. Da quel giorno Giorgio non tornò più in quel locale ma spesso gli capitò di ritornarci con la memoria, con la speranza di capirci qualcosa.
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5 feb. 23
Era un salto nel buio. Ora bisognava vivere in un monolocale di appena 40 mq, dove tutto era compresso e tutto piccolo, piccolo il letto, piccolo l’armadio, piccolo l’angolo cottura, piccolo il bagno, piccola la finestrella che dava sul cortile, quando era abituato ad altre comodità con spazi ben più ampi. Già la sua sola camera, nella ex casa coniugale, era grande quanto tutto questo nuovo miniappartamento, ma volete mettere la soddisfazione di aver ottenuto una grande conquista, quella della libertà, dopo anni di liti, di ripicche, di sguardi feroci, di dispetti reciproci con l’ex compagna?
Dopo l’ennesima lite della domenica precedente, Marcello aveva preso la decisione irrevocabile di troncare la convivenza con Silvana, dopo sei anni di vita in comune, ed ora si trovava a sistemare le sue cose, abiti, libri, biancheria, accatastate in un grosso scatolone piazzato nel centro della camera, in quell’appartamento di proprietà di un amico compiacente. Era già sera. Le luci a led tutte accese, ma mancava qualcosa di veramente caldo e illuminante. Sedette sul letto, le mani sul viso, e scoppiò in un pianto a dirotto.
Dopo pochi minuti, il citofono interruppe il momento di crisi. Rispose: - chi è?
- Pizza express, ho portato la sua pizza.
- Un momento, vengo giù a ritirarla.
Per non fare vedere il disordine in casa e non far capire il suo stato d’animo, Marcello preferì inforcare gli occhiali e scendere al piano terra per ritirare quello che aveva ordinato.
Dopo tanto tempo, quella sera era la prima volta che sedeva a tavola da solo. Tavola si fa per dire, era uno sgabello accanto ad una mensola appena sufficiente per accogliere un cartone
di pizza. Mancava tutto: posate, bicchieri, tovaglioli. Stizzito diede una forte pedata allo scatolone che si squarciò facendo sparpagliare tutto il contenuto sul pavimento. Ci sono persone che vivono nel disordine più completo e non hanno problemi. Marcello invece era meticoloso ed il disordine peggiorava il suo umore già nero.
Aveva appena finito di mangiare che sentì suonare alla porta.
Andò ad aprire e vide una giovane donna di statura media, capelli ricci e neri, probabilmente sudamericana, che disse:
- Scusa, ho bussato perché ho sentito che c’era qualcuno in casa. Io abito alla porta accanto. Siccome sono rimasta senza zucchero, vorrei sapere se me ne puoi prestare un po’.
- Non so se ce n’è. Sono qui solo da oggi e devo verificare. Venga dentro che intanto controllo in cucina. Ah, ecco, ho trovato un barattolo, mi sembra che sia pieno di zucchero.
Prese un bicchiere di carta, lo riempì e lo diede alla ragazza.
- Grazie, domani lo compro e te lo restituisco - rispose lei. Aggiunse: - mi chiamo Samantha, se hai bisogno di qualcosa io alla sera sono in casa.
-Ok grazie. Buona serata.
Richiuse la porta e tornò a sfogliare meccanicamente le pagine sullo smartphone, alla ricerca di qualcosa di interessante, ma non c’era nulla che fosse veramente in grado di aiutarlo a superare la depressione.
Steso sul letto, lo sguardo fisso verso la piccola finestra, si pose diverse domande. Perché la storia con Silvana non aveva funzionato? Perché si trovava lì a riflettere sul fallimento
della relazione? Aveva commesso qualche errore, e quale? Ed ora, cosa gli conveniva fare?
Tornò con la memoria a sette anni prima quando, ad una festa di compleanno di una comune amica aveva conosciuto Silvana, una ragazza molto bella, un viso d’angelo, capelli castani,
occhi chiari, corporatura media, perfetta. Lei lavorava nel settore produttivo di un’azienda farmaceutica. Marcello era invece già quadro direttivo in un’azienda che si occupava di
digital marketing. Fu un colpo di fulmine tra i due, o almeno così parve, tanto che dopo pochi mesi di frequentazione, decisero di convivere. Andarono ad abitare in un grazioso
appartamento di proprietà di lei in una zona nuova e semiperiferica. All’inizio le cose andarono bene. Entrambi molto impegnati nel lavoro, si vedevano solo a tarda sera quando tornati a casa stanchi e sfiniti mangiavano velocemente qualcosa di precotto e poi si abbandonavano sul divano per curiosare sul cellulare. Solo a fine settimana si concedevano
qualche svago, cinema o teatro o qualche partita di basket al palazzetto dello sport, o incontro con amici. Non avevano avuto figli, benché li avessero desiderati, e si dedicavano
anima e corpo al lavoro, alla ricerca di soddisfazioni economiche crescenti.
I momenti di dialogo e di confidenza, che all’inizio della relazione, occupavano gran parte dei loro momenti di vita in comune, a poco a poco si diradarono. Il pc e lo smartphone
presero il sopravvento, restavano sempre accesi a segnalare notifiche in continuazione.
Entrambi si buttarono a capofitto nel lavoro all’inseguimento di nuovi traguardi da raggiungere, sempre più ambiziosi, come se il denaro fosse la panacea per il loro malessere.
Ma non era così. Il conto in banca cresceva ma la sorgente del loro amore si inaridiva sempre di più, sino ad arrivare allo scontro, all’intolleranza, all’indifferenza. Ogni minimo
atteggiamento, ogni azione, la più banale, veniva criticata, anche con parole offensive, e ciò non faceva altro che alzare il livello del contrasto. Uscire di casa era una liberazione.
Immergersi nel lavoro era una piacevole sensazione di pace interiore.
I problemi crebbero sino alla decisione molto sofferta di troncare la convivenza. Avevano costruito una casa sulla sabbia, senza fondamenta, basato su una specie di amore che si era rivelato fasullo, fragile, incapace di reagire alle avversità, incapace di accettare una qualsiasi rinuncia. Ed ora?
Per fortuna la vita continua e, molto spesso, chiusa una porta si aprono nuove strade.
Silvana si rese conto che, almeno per il momento, la vita coniugale non era il progetto più adatto per lei; quindi, si dedicò con maggiore intensità al lavoro, anche perché ricevette
l’incarico di dirigere una sezione di ricerca e sviluppo nell’ambito della sua azienda. Continuò a vivere nello stesso appartamento e l’unica novità che si concesse fu l’acquisto di una gattina, Maya, che fece subito sterilizzare ad evitare sorprese.
Per Marcello le cose invece furono un po’ più complicate. Ci mise parecchio tempo a riprendersi dalla batosta sentimentale, guardava il genere femminile con grande diffidenza, incapace di cogliere gli aspetti positivi delle persone.
Finché un giorno ebbe l’opportunità di frequentare un seminario di studi, molto importante per la sua formazione, a Londra. Il corso sarebbe durato due settimane. Ovviamente non si lasciò sfuggire l’occasione e ci andò volentieri.
Gli allievi del corso erano dodici e provenivano da varie parti del mondo. Tra di essi una giovane giapponese, Himari, capelli corti e neri, pelle bianchissima, longilinea, occhi espressivi e gentili, molto intelligente. Tra di loro nacque subito un rapporto di massimo rispetto. Marcello si sorprese di essere capace di mostrarsi cortese e disponibile, a volte galante. Le cose maturarono con molta cautela, ma presero una direzione ben precisa. Si frequentarono abbastanza, tanto che, terminato il corso, prima di ripartire per i rispettivi paesi, i due decisero di programmare per il mese successivo una vacanza a New York.
Fu una esperienza di notevole spessore, non solo turistica, ma importante per la conoscenza reciproca del loro carattere, degli ideali in comune, del pensiero di base rispetto alle tematiche generali della vita. Al termine della vacanza Marcello e Himari progettarono un nuovo incontro, questa volta in Italia, senza limite di durata. Avrebbero deciso successivamente il termine della permanenza. Ma il monolocale era angusto per due persone, quindi Marcello si trasferì con la nuova compagna in una villetta più confortevole, dove ancora oggi, dopo quattro anni, vivono serenamente in compagnia di un bel bambino, nato nel frattempo, con l’intenzione di formalizzare l’unione in via definitiva con la celebrazione del matrimonio. È così la vita! Quando tutto sembra precipitare, si accende una nuova lampada, si scopre un nuovo sentiero.
Francesco Grano © aprile 2024